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Reality – Recensione

27/09/2012 | Recensioni |
Reality – Recensione

Ha il sapore di una favola il nuovo film di Matteo Garrone, e ciò lo si evince dalle primissime immagini nelle quali scrutiamo dall’alto una splendida carrozza trainata da fulgidi cavalli bianchi. Ma questo non è un racconto alla Walt Disney e non si deve aspettare tanto prima di essere catapultati in quella realtà che è parte integrante di noi.

Luciano è un pescivendolo napoletano che per integrare i suoi scarsi guadagni si arrangia facendo piccole truffe insieme alla moglie Maria. Grazie a una naturale simpatia, Luciano non perde occasione per esibirsi davanti ai clienti della pescheria e ai numerosi parenti. Un giorno, spinto dai familiari, partecipa a un provino per entrare nel “Grande Fratello”. Da quel momento la sua percezione della realtà non sarà più la stessa.

Il cinema del regista romano è caratterizzato da un profondo attaccamento alla “verità”, raccontata sempre attraverso uno sguardo disincantato, che difficilmente utilizza orpelli o ricorrere a virtuosismi cinematografici. In quest’ultimo lavoro, invece, l’equilibrio che si crea fra una visione favolistica, onirica, e la profonda attinenza al reale, consente al film di porre degli spunti di riflessione maggiori. L’ossessione per la notorietà è figlia del nostro tempo; quella spasmodica ricerca del minuto di celebrità è un meccanismo talmente radicato nella nostra società da farla sembrare l’unica via di fuga da una misera esistenza. Garrone in questo senso non impone un giudizio morale o etico nei confronti di un certo tipo di televisione, egli si punta il dito, ma lo fa con una delicatezza inusuale, per raccontare invece il dramma di un uomo qualunque che tenta, in tutti i modi, di cambiare l’andamento della propria vita.

Vincitore (meritatamente!) del Grand Prix al Festival di Cannes 2012, Reality è una commedia agrodolce che pone l’accento su delle tematiche sociali, ma mai con presunzione od intenti pedagogici. Il cambio di registro rispetto a “il caso Gomorra” è chiaramente una necessità per il regista, che però non rinuncia all’effetto di fascinazione che provoca l’indagine nei meandri della quotidianità, della vita vera nei vicoli di una Napoli riconoscibile e bellissima. La macchina da presa si muove leggera e scruta i protagonisti dall’alto ma, soprattutto nell’ultima parte, indugia in maniera quasi ossessiva sul volto scavato del protagonista, un ottimo Aniello Arena (detenuto del carcere di Volterra e formatosi come attore autodidatta in carcere nel gruppo della Compagnia della Fortezza), in grado di regalarci un’interpretazione elegantemente reale e veritiera. Ad impreziosire la pellicola l’importante contributo della colonna sonora composta da Alexandre Desplat (quattro volte candidato all’Oscar) che, incentrata su delle note fiabesche, sottolinea i momenti in cui è necessario risvegliarsi dal sogno.

Serena Guidoni
 

 


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